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“L’abbandono silenzioso” è il fenomeno che coinvolge il mondo del lavoro in cui i dipendenti sono disposti a svolgere solo lo stretto indispensabile compatibilmente con le ore definite da contratto, rifiutando di fare straordinari, aderire a progetti extra e assumersi ulteriori responsabilità. Mentre d’altro canto il “licenziamento silenzioso” è un’altra pratica, ugualmente passiva e aggressiva, questa volta compiuta dal datore di lavoro, che non premia un dipendente per i suoi contributi in azienda, costringendolo a dare le dimissioni. 

Il licenziamento silenzioso, come l’abbandono silenzioso, non sono una novità nel mondo del lavoro. I termini utilizzati per indicarli invece si e nascono precisamente nel mondo social, dove il fenomeno è diventato virale in pochissimo tempo.

Le cause che portano al quiet quitting e al quiet firing

Dalla recente indagine InfoJobs Attraction & Retention emerge un generale malcontento nel mondo del lavoro italiano, tanto che l’80,9% dei rispondenti non consiglierebbe a un amico/conoscente l’azienda per la quale lavora a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante (52,1%) o di stipendio e benefit poco soddisfacenti (28,8%). Le cause sono diverse. Innanzitutto, è indubbio che gli anni di pandemia hanno portato molte persone a valorizzare aspetti della propria vita esterni al lavoro. In secondo luogo, temi come burnout, salute mentale e stress patologico da lavoro sono sempre più diffusi nel dibattito pubblico.

C’è poi un’altra ipotesi piuttosto diffusa, portata avanti dalla Harvard Business Review, secondo la quale l’abbandono silenzioso non riguarda tanto la volontà dei dipendenti di lavorare di più o di meno e con maggiore o minore coinvolgimento, quanto la capacità di un manager di costruire un rapporto con gli impiegati che non li induca a non vedere l’ora di uscire dall’ufficio. 

Un ambiente “omertoso” porterà probabilmente allo sviluppo di una cultura dell’abbandono silenzioso. Un dipendente che si licenzia “in silenzio” induce un datore di lavoro a iniziare a licenziare silenziosamente. Ciò è disfunzionale a entrambi i soggetti.

E’ il momento di aprire un dialogo su come si sente il dipendente in azienda e quali sono le aree di insoddisfazione o sofferenza per coinvolgere nuovamente la persona ed impostare il rapporto di lavoro in un modo gratificante ed efficiente. Il licenziamento silenzioso, come le dimissioni silenziose, è soprattutto un problema di trasparenza. Le organizzazioni dovrebbero considerare questo fenomeno come un invito a migliorare le capacità di comunicazione tra le persone e tra i team.

Come contrastare questo fenomeno

L’idea che un datore di lavoro può costringere effettivamente un dipendente a dimettersi non è del tutto nuova e rientra sicuramente nello spettro del mobbing, un insieme di atti persecutori o aggressivi che vengono esercitati da uno o più individui sul posto di lavoro nei confronti di un soggetto con l’intento di emarginarlo, screditarlo o umiliarlo. 

Sul come contrastare il fenomeno i career coach generalmente concordano sul fatto che il modo migliore per affrontare questa insoddisfazione consiste nell’essere trasparenti e nell’affrontare di petto la situazione. Alla base del «quiet firing» c’è una scarsa comunicazione.

Quiet, il silenzio, la mancanza di condivisione e trasparenza, non ha senso in un ambiente di lavoro sano: non porta vantaggio a nessuno, né ai dipendenti né all’azienda. Fondamentale, invece, è imparare a stabilire una comunicazione fluida e trasparente basata sulla comunicazione e sull’ascolto in cui le due parti si sentano libere e non giudicate per le scelte.